IL LIBRO

Gli anni è un libro della scrittrice premio nobel Annie Ernaux pubblicato nel 2008. È stato descritto come un libro di memorie “ibrido”, che copre il periodo dal 1941 al 2006 come un’autobiografia “allo stesso tempo soggettiva e impersonale, privata e collettiva”.

LA TRAMA

Un romanzo autobiografico e al contempo una cronaca collettiva del nostro mondo dal dopoguerra a oggi.
Come accade che il tempo che abbiamo vissuto diviene la nostra vita? È questo il nodo affrontato da Gli anni, romanzo autobiografico e al contempo cronaca collettiva del nostro mondo dal dopoguerra a oggi, nodo sciolto in un canto indissolubile attraverso la magistrale fusione della voce individuale con il coro della Storia. Annie Ernaux convoca la Liberazione, l’Algeria, la maternità, de Gaulle, il ’68, l’emancipazione femminile, Mitterrand; e ancora l’avanzata della merce, le tentazioni del conformismo, l’avvento di internet, l’undici settembre, la riscoperta del desiderio. Scandita dalla descrizione di fotografie e pranzi dei giorni di festa, questa «autobiografia impersonale» immerge anche la nostra esistenza nel flusso di un’inedita pratica della memoria che, spronata da una lingua tersa e affilatissima, riesce nel prodigio di «salvare» la storia di generazioni coniugando vita e morte nella luce abbagliante della bellezza del mondo.

L’INCIPIT

Tutte le immagini scompariranno.
la donna accovacciata che, in pieno giorno, urinava dietro la baracca di un bar al margine delle rovine di Yvetot, dopo la guerra, si risistemava le mutande con la gonna ancora sollevata e se ne tornava nel caffè
il volto pieno di lacrime di Alida Valli mentre ballava con George Wilson nel film L’inverno ti farà tornare
l’uomo incrociato su un marciapiede di Padova nell’estate del ’90, con delle manine attaccate alle spalle che subito facevano pensare alla talidomide prescritta trent’anni prima alle donne incinte contro le nausee e allo stesso tempo alla barzelletta che si era raccontata in seguito: una futura madre lavora ai ferri il corredo per il neo­nato ingerendo con regolarità della talidomide, un giro di maglia, una compressa. Inorridendo un’amica le dice, ma come, non lo sai che il tuo bambino rischia di nascere senza braccia?, e lei, certo che lo so, è che non so fare le maniche

ACCOGLIENZA

“Gli anni” è stato accolto molto bene dalla critica francese ed è considerato da molti il suo capolavoro.
Ha vinto il Premio Françoise-Mauriac dell’Académie française nel 2008, il Premio Marguerite Duras nel 2008, i il Premio dei lettori Télégramme nel 2009 e il Premio Strega Europeo nel 2016. Tradotto da Alison L. Strayer.

Attuialmente in Italia l’autrice è stata “adottata” dalla casa editrice romana L’Orma che sta curando l’edizione dei nuovi volumi e la riedizione dei suoi vecchi libri. Nella pagina web della casa editrice nella sezione recnesioni trovate una vasta raccolta di recensioni dei libri dell’autrice

L’AUTRICE

Annie Ernaux è nata a Lillebonne nel 1940 ed è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettrici e lettori. Nel 2022 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura.

Qui trovate la scheda bibliografica di wikipedia

IL PREMIO NOBEL

Nel 2022 Annie Ernaux è stata insignita del premio nobel per la letteratura con  la seguente motivazione:

“per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”

Qui la sintesi dell’Ansa del suo discorso di accettazione del premio

Qui sotto il video completo

Un estratto del discorso tenuto da Annie Ernaux a Stoccolma il 7 dicembre 2022. (fv)

Il mio Nobel è vendetta

Annie Ernaux

AnnieLa scrittrice francese ha accettato il premio per la letteratura consegnatole dall’Accademia svedese con un discorso dalla parte delle donne, della provincia e degli emarginati

“Da dove cominciare? questa domanda me la sono posta decine di volte davanti alla pagina bianca. Come se dovessi trovare la frase, la sola, che mi permetterà di entrare nella scrittura del libro e toglierà in un colpo solo tutti i dubbi. Una sorta di chiave. Oggi, per affrontare una situazione che, passato lo stupore dell’evento («Sta davvero succedendo a me?»), la mia immaginazione mi presenta con uno sgomento crescente, mi sento invadere dalla stessa necessità. Trovare la frase che mi darà la libertà e la fermezza di parlare senza tremare. Questa frase non ho bisogno di cercarla lontano. Emerge da sé. In tutta la sua nettezza, la sua violenza. Lapidaria. Inoppugnabile. È stata scritta sessant’anni fa nel mio diario personale. Scriverò per vendicare la mia razza. Faceva eco al grido di Rimbaud: «Sono di razza inferiore dall’eternità». Avevo ventidue anni. Studiavo lettere in un’università di provincia, tra ragazze e ragazzi provenienti nella maggior parte dei casi dalla borghesia locale. Io pensavo, orgogliosamente e ingenuamente, che scrivere dei libri, diventare scrittrice venendo da una stirpe di contadini senza terra, operai e piccoli commercianti, di persone disprezzate per le loro maniere, il loro accento, la loro mancanza di cultura, sarebbe bastato a riparare l’ingiustizia sociale della nascita. Che una vittoria individuale potesse cancellare secoli di dominazioni e di povertà, in un’illusione che la Scuola aveva già coltivato in me con la mia riuscita negli studi. In che modo la mia realizzazione personale avrebbe potuto riscattare una qualunque delle umiliazioni e delle offese subite? Non mi ponevo la domanda. Avevo qualche giustificazione. (…) Non fu il rifiuto di un primo romanzo da parte di due o tre editori (romanzo il cui solo merito era la ricerca di una forma nuova) ad abbattere il mio desiderio e il mio orgoglio. Furono certe situazioni della vita dove essere una donna pesava in modo ben diverso dall’essere un uomo, in una società dove i ruoli erano definiti in base al sesso, la contraccezione era proibita e l’interruzione di gravidanza era un reato. Sposata con due bambini, un mestiere di insegnante e il carico della famiglia da mandare avanti, mi allontanavo sempre di più ogni giorno che passava dalla scrittura e dalla promessa di vendicare la mia razza. Non riuscivo a leggere “La parabola della legge” nel Processo di Kafka senza vedervi raffigurato il mio destino: morire senza essere riuscita a varcare quella porta fatta apposta per me, il libro che solo io avrei potuto scrivere. Ma non avevo tenuto conto del caso, privato e storico. La morte di un padre che passa a miglior vita tre giorni dopo il mio arrivo a casa sua per le vacanze, un posto da insegnante in classi i cui allievi provengono da ambienti popolari simili al mio, movimenti mondiali di contestazione: tutti elementi che mi riportavano, attraverso percorsi imprevisti e sensibili al mondo delle mie origini, alla mia «razza», e che davano al mio desiderio di scrivere un carattere d’urgenza segreto e assoluto. Questa volta non si trattava di abbandonarmi a quell’illusorio «scrivere su niente» dei miei vent’anni, ma di tuffarmi nell’indicibile di una memoria rimossa e di mettere in luce il modo di esistere della mia gente. Scrivere allo scopo dicomprendere le ragioni, in me e fuori di me, che mi avevano allontanata dalle mie origini. Nessuna forma di scrittura è ovvia ed evidente. Ma quelli, immigrati, che non parlano più la lingua dei loro genitori, e quelli, transfughi di classe sociale, che non hanno più interamente la stessa lingua, che pensano e si esprimono con altre parole, tutti loro si trovano di fronte a degli ostacoli supplementari. Un dilemma. Avvertono la difficoltà, per non dire proprio l’impossibilità, di scrivere nella lingua acquisita, dominante, che hanno imparato a padroneggiare e che ammirano nelle sue opere, tutto ciò che ha a che fare con il loro mondo di origine, quel mondo primo fatto di sensazioni, di parole che esprimono la vita quotidiana, il lavoro, il posto occupato nella società. Da un lato c’è la lingua in cui hanno imparato a dare un nome alle cose, con la suabrutalità, con i suoi silenzi, quello, per esempio, del faccia a faccia fra una madre e un figlio nel bellissimo testo di Albert Camus, “Tra sì e no”. Dall’altro, ci sono i modelli delle opere ammirate, interiorizzate, quelle che hanno aperto quell’universo primo e a cui sentono di dovere la loro elevazione, che spesso considerano perfino la loro vera patria. (…) Mi è apparso evidente altrettanto presto, al punto di non riuscire a concepire altro punto di partenza, che dovevo ancorare il racconto della mia lacerazione sociale nella situazione che era stata la mia quando studiavo, quella, rivoltante, a cui lo Stato francese condannava sempre le donne, il ricorso all’aborto clandestino nelle mani di una mammana. E volevo descrivere tutto quello che è successo al mio corpo di ragazza, la scoperta del piacere, le regole. Così, in quel primo libro, pubblicato nel 1974, senza che allorane fossi consapevole, si trovava definita l’aria in cui avrei collocato il mio lavoro di scrittura, un’aria al tempo stesso sociale e femminista. Vendicare la mia razza e vendicare il mio sesso da quel momento sarebbero stati tutt’uno. (…) È così che ho concepito il mio impegno nella scrittura, che non consiste nello scrivere «per» una categoria di lettori, ma «partendo» dalla mia esperienza di donna e di immigrata interna, dalla mia memoria ormai sempre più lunga degli anni attraversati, dal presente, fornitore incessante di immagini e parole degli altri. Questo impegno come pegno di me stessa nella scrittura, e sostenuto dalla credenza, divenuta certezza, che un libro possa contribuire a cambiare la vita personale, a spezzare la solitudine delle cose subite e seppellite, a pensarsi in modo diverso. Quando l’indicibile viene alla luce, è politico. Lo vediamo oggi con la rivolta di quelle donne che hanno trovato le parole per scompaginare il potere maschile e si sono sollevate, come in Iran, contro la sua forma più violenta e più arcaica. Scrivendo in un Paese democratico, continuo a interrogarmi, tuttavia, sul posto occupato dalle donne, anche in campo letterario. La loro legittimità a produrre opere non è ancora acquisita. In Francia e in tutto il mondo ci sono intellettuali maschi per cui i libri scritti dalle donne semplicemente non esistono, non li citano mai. Il riconoscimento del mio lavoro da parte dell’Accademia di Svezia rappresenta un segnale di giustizia e di speranza per tutte le scrittrici. (…) Accordandomi la più alta onorificenza letteraria che esista, sono un lavoro di scrittura e una ricerca personale condotti nella solitudine e nel dubbio che si trovano a essere sotto i riflettori. Non mi lascio abbagliare. Non considero l’attribuzione del premio Nobel che mi è stata fatta come una vittoria individuale. Non è né orgoglio né modestia pensare che sia, in un certo modo, una vittoria collettiva. Ne condivido la fierezza con tutti coloro e tutte coloro che in un modo o nell’altro auspicano più libertà, più uguaglianza e più dignità per tutti gli esseri umani, qualunque sia il loro sesso e il loro genere, la loro pelle e la loro cultura. Gli uomini e le donne che pensano alle generazioni a venire, alla salvaguardia di una Terra che la fame di profitto di un piccolo numero di individui continua a rendere sempre meno vivibile per l’insieme delle popolazioni. Se ripenso alla promessa fatta a vent’anni di vendicare la mia razza, non saprei dire se l’abbia realizzata. È da quella razza, dai miei antenati, uomini e donne avvezzi a fatiche che li hanno fatti morire presto, che ho ricevuto abbastanza forza e abbastanza collera per avere il desiderio e l’ambizione di ritagliare loro un posto nella letteratura, in questo insieme di voci molteplici che mi ha accompagnata fin da giovanissima, dandomi accesso ad altri mondi e ad altri pensieri, compreso quello di ribellarmi contro di essa e di volerla modificare. Per iscrivere la mia voce di donna e di transfuga sociale in quel luogo che si presenta sempre come un luogo di emancipazione: la letteratura.”

© The Nobel Foundation 2022 Traduzione di Fabio Galimberti (Pubblichiamo un estratto del discorso tenuto da Annie Ernaux a Stoccolma il 7 dicembre)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Testo ripreso dal giornale LA REPUBBLICA

FILM

Nel 2018 la regista italiana Sara Fgaier realizza il film documentario “Gli anni” (20 minuti) dove alle parole del libro di Ernaux si accompagnano immagini di una Sardegna fuori dal tempo

Il film è visibile su Raiplay

VIDEO

Lorenzo Flabbi, traduttore di Annie Ernaux ci parla dell’autrice su Rai Cultura; con alcuni spezzoni di intervista alla stessa Ernaux

Qui sotto invece sempre Flabbi ci parla di cosa significa traddurre un premio Nobel

Qui Datria Bignardi dialoga con la Ernaux al Salone del Libro

 

GLI ALTRI LIBRI DELL’AUTRICE PUBBLICATI IN ITALIA

Tra parentesi l’anno si riferisce alla prima pubblicazione in Francia

GLI ARMADI VUOTI (Les Armoires vides1974)
Annie Ernaux ‘svuota gli armadi’ e racconta dolorosamente la sua infanzia, la sua crescita faticosa e confusa fino fino alla giovinezza e all’episodio che ne condizionerà per sempre la vita: l’aborto clandestino a cui è costretta a sottoporsi a vent’anni, quando in Francia, come del resto in Italia, la pratica era un reato contro Dio e contro la legge. L’événement come lei lo chiama, l’evento così tragico è solo l’ultimo passo di un affrancamento, e insieme la rivelazione di una vocazione di scrittrice che si impone ineludibile. “Senza vergogna non c’è letteratura”

LA DONNA GELATA (La Femme gelée 1981)
L’educazione sociale, sentimentale e sessuale di una donna dalla provincia francese degli anni Quaranta alla temperie di liberazione degli anni Settanta.Le scoperte e i tabù dell’infanzia, gli ardori e i conformismi dell’adolescenza, gli anni trepidi e indipendenti dell’università, ingolfati di amori e di scelte, finché i mille bivi della giovinezza non convergono in un’unica via dalla forza di attrazione quasi irresistibile: il matrimonio, la fondazione di una famiglia. E qui lo squilibrio di ruoli e mansioni tra moglie e marito, tra madre e padre condanna l’autrice alla glaciazione dell’interiorità e del desiderio.In un continuo contrappunto tra le proprie esperienze e i modelli imposti dall’onnipresente universo maschile – nel sussidiario delle elementari come nei riti collettivi della gioventù e nei luoghi comuni sulla «femminilità» –, Annie Ernaux descrive con precisa passione l’apprendistato alla disparità di una donna, consegnandoci con spietata limpidezza un’impareggiabile radiografia della moderna vita di coppia.

IL POSTO (La Place  1983)
La storia di un uomo – prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria in una città della provincia normanna – raccontata con precisione chirurgica, senza compatimenti né miserabilismi, dalla figlia scrittrice.La storia di una donna che si affranca con dolorosa tenerezza dalle proprie origini e scrive dei suoi genitori alla ricerca di un ormai impossibile linguaggio comune.Una scrittura tesissima, priva di cedimenti, di una raffinata semplicità capace di rendere ogni singola parola affilata come un coltello.Il posto è un romanzo autobiografico che riesce, quasi miracolosamente, nell’intento più ambi­zioso e nobile della letteratura: quello di far assurgere l’esperienza individuale a una dimensione universale, che parla a tutti noi di tutti noi.

UNA DONNA (Une femme 1987; edito in Italia anche con il titolo “Una vita da donna”)
Pochi giorni dopo la morte della madre, Annie Ernaux traccia su un foglio la frase che diventerà l’incipit di questo libro. Le vicende personali emergono allora dalla memoria incandescente del lutto e si fanno ritratto esemplare di una donna del Novecento. La miseria contadina, il lavoro da operaia, il riscatto come piccola commerciante, lo sprofondare nel buio della malattia, e tutt’attorno la talvolta incomprensibile evoluzione del mondo, degli orizzonti, dei desideri. Scritte nella lingua «più neutra possibile» eppure sostanziate dalle mille sfumature di un lessico personale, famigliare e sociale, queste pagine implacabili si collocano nella luminosa intersezione tra Storia e affetto, indagano con un secco dolore – che sconvolge più di un pianto a dirotto – le contraddizioni e l’opacità dei sentimenti per restituire in maniera universale l’irripetibile realtà di un percorso di vita.

PASSIONE SEMPLICE  (Passion simple 1992)
na donna e un uomo condividono un’intensa relazione clandestina. Lui, straniero, è sposato e inaccessibile. La avvisa con una telefonata ogni volta che gli si presenta l’occasione di passare del tempo insieme. Gli incontri che seguono sono brevi, con l’amore che si consuma in amplessi tormentati dal presentimento del distacco. Poi lei lo osserva rivestirsi e andare via e allora riprende, lì da dove si era interrotta, quell’attesa ossessiva: di lui, di una chiamata, del prossimo intreccio di corpi e desideri. Quando la storia finisce l’uomo e la donna smettono del tutto di sentirsi o vedersi. Restano, come marchi impressi nella carne, i segni del sesso, dell’amore, dell’attesa. Indizi di una passione semplice.

DIARIO DELLA PERIFERIA (Journal du dehors 1993)
Un quartiere della periferia parigina, anonimo, senza memoria, identico a tanti sorti dal nulla, dovunque, negli ultimi anni. Scene, gesti riti della quotidianità, di ciascuno di noi. Per sette anni, mentre scrive i suoi libri, Annie Ernaux, registra impressioni e piccoli fatti, le immagini del mondo esterno, i minimi eventi della sua giornata di donna attiva, che vive e lavora nella metropoli. Il supermercato, il treno dei pendolari (la R.E.R.), le incursioni nei negozi, la frenesia dei saldi, il parrucchiere, il macellaio, le chiacchiere sentite per caso sul metrò, la gente che si confida senza pudore angosce miserie intimità. Sensibile a tutto ciò che la circonda, la Ernaux se ne lascia impregnare restituendo con precisione meticolosa frammenti di una realtà banale a cui più non partecipa ma che per lei ha valore profondo, perché legata alle sue radici. «È all’esterno, nei passeggeri del metrò o della R.E.R., che è deposta la mia esistenza passata. Negli individui anonimi che non sospettano di possedere una parte della mia storia.»
Ne è nato un singolare diario, una sequenza di fulminanti istantanee che mettono a a fuoco ambienti, suoni, colori, descrivendo uno straordinario ritratto di noi. «Come un disegno di Matisse è una semplice linea di matita capace di esprimere tutta la sensualità di un corpo di donna, così le parole di Annie Ernaux, nude e affilate, ritagliano nel reale sorprendenti forme di vita e poesia.»

NON SONO PIÙ USCITA DALLA MIA NOTTE (Je ne suis pas sortie de ma nuit 1997)
Una madre, una figlia, l’Alzheimer.

LA VERGOGNA (La Honte 1997 edito in Italia anche con il titolo “L’onta”)
«Ho sempre avuto voglia di scrivere libri di cui poi mi fosse impossibile parlare, libri che rendessero insostenibile lo sguardo degli altri.»Romanzo dell’infanzia e dei suoi abissi, La vergogna ricostruisce con spietata lucidita` una presa di consapevolezza: quella di una bambina di dodici anni testimone della «scena» spartiacque, rimasta a lungo indicibile, che le fa scoprire di colpo di essere dalla parte sbagliata della societa`. Inventariando i linguaggi, i riti e le norme che delimitavano il suo pensiero e la sua condotta di allora, Ernaux sprofonda nella memoria intima e collettiva – fatta di usanze, espressioni e modi di dire – e scompone l’habitat del mondo in cui era immersa: la scuola privata, i codici della religione cattolica, il culto della «buona educazione», le leggi non scritte ma inviolabili della gerarchia sociale.Come nessun altro, Annie Ernaux riesce a mettere a fuoco con bruciante distacco – da esemplare «etnologa di se stessa» – la piu` indifesa delle eta`, raccontando quel violento e reiterato sconcerto che e` l’ingresso nella vita adulta.

L’EVENTO (L’Événement 2000)
Ottobre 1963: una studentessa ventitreenne e` costretta a percorrere vie clandestine per poter interrompere una gravidanza. In Francia l’aborto e` ancora illegale – la parola stessa e` considerata impronunciabile, non ha un suo «posto nel linguaggio».L’evento restituisce i giorni e le tappe di un’«esperienza umana totale»: le spaesate ricerche di soluzioni e la disperata apatia, le ambiguita` dei medici e la sistematica fascinazione dei maschi, la vicinanza di qualche compagna di corso e l’incontro con la mammana, sino al senso di fierezza per aver saputo attraversare un’abbacinante compresenza di vita e morte.Calandosi «in ogni immagine, fino ad avere la sensazione fisica di “raggiungerla”», Ernaux interroga la memoria come strumento di conoscenza del reale. Dalla cronistoria di un avvenimento individualmente e politicamente trasformativo sorge una voce esattissima, irrefutabile, che apre uno spazio letterario di testimonianza per generazioni di donne escluse dalla Storia.

L’ALTRA FIGLIA (L’Autre fille 2011)
In un’assolata domenica d’estate una bambina ascolta per caso una conversazione della madre, e la sua vita cambia per sempre: i genitori hanno avuto un’altra figlia, morta ancora piccola due anni prima che lei nascesse. È una rivelazione che diviene spartiacque di un’infanzia, segna il destino di una donna e di una scrittrice.

GUARDA LE LUCI AMORE MIO (L’Autre fille 2014)
«Raccontare la vita»: è questo il nome della collana per la quale nel 2012 l’editore francese Seuil chiede un libro ad Annie Ernaux. Senza esitazioni, l’autrice sceglie di portare alla luce uno spazio ignorato dalla letteratura, eppure formidabile specchio della realtà sociale: l’ipermercato. Ne nasce dunque un diario, in cui Ernaux registra per un anno le proprie regolari visite al «suo» Auchan annotando le contraddizioni e le ritualità ma anche le insospettate tenerezze di quel tempio del consumo. Da questa «libera rassegna di osservazioni» condotta tra una corsia e l’altra – con in mano la lista della spesa -, a contatto con le scintillanti montagne di merci della grande distribuzione, prende vita “Guarda le luci, amore mio”, una riflessione narrativa capace di mostrarci da un’angolazione inedita uno dei teatri segreti del nostro vivere collettivo.

MEMORIA DI RAGAZZA (L’Autre fille 2016)
Estate 1958. Per la prima volta lontana dalla famiglia, educatrice in una colonia di vacanze, una diciottenne scopre se stessa: l’amore, il sesso, il giudizio degli altri, la fatica di essere giovani, la sete di libertà. Tra la luce delle foto di quel tempo e il buio dei ricordi rifiutati, Annie Ernaux rivive l’età di passaggio che la trasformò in donna e in scrittrice, interrogandosi sui pensieri, le aspettative, le ritrosie (senza tralasciare i disturbi alimentari e le angosce della fertilità) della «ragazza del ’58». In pagine piene di inquietudini e dolori segreti, traboccanti di slanci e di canzoni – l’«esperanto dell’amore» -, è la vergogna del passato a generare la memoria, rivelandosi inaspettato dono, irrinunciabile arma in quella «colluttazione con il reale» che è al cuore dell’impresa letteraria di Ernaux. “Memoria di ragazza”, potentissima riflessione sulla scrittura e su un’epoca cruciale dell’esistenza, è il romanzo, proibito e inconfessabile, che l’autrice ha inseguito per tutta la vita

IL RAGAZZO (Le jeune homme 2002)
Una donna racconta la relazione con un ragazzo di trent’anni più giovane. Un’avventura che a poco a poco si trasforma in una storia d’amore e diviene per la narratrice un viaggio nel tempo in cui il presente si mescola alla memoria dei rapporti passati e della propria esistenza sociale e sessuale. Con «Il ragazzo» Annie Ernaux compone una miniatura perfetta descrivendo l’impeto e lo scandalo di una passione e lasciandosi attraversare dal piacere inappellabile di «scrivere la vita». Arricchiscono il volume tre discorsi in cui l’autrice riflette sulla scrittura, la condizione femminile e la memoria.