IL LIBRO

Una famiglia americana (We Were the Mulvaneys) è un romanzo della scrittrice statunitense Joyce Carol Oates, pubblicato nel 1996. In Italia è apparso nel 2003, nella traduzione di Vittorio Curtoni. In Una famiglia americana Joyce Carol Oates ci porta dentro il cuore nero della società borghese. Un mondo tanto affabile quanto spietato nei confronti di chi infrange le sue regole e in cui inevitabilmente ci si ritrova nel contempo vittime e carnefici.

LA TRAMA

Tutti ammirano i Mulvaney, tutti li invidiano. Una famiglia allegra, numerosa, perfetta. Nella loro fattoria da fiaba nel Nord dello stato di New York regna la concordia. Michael, il padre, ha un’impresa edile ben avviata ed è un rispettato membro del Country Club. Sua moglie Corinne è una donna attiva, profondamente religiosa e con la passione per l’antiquariato e la politica. Dei figli, Mike junior è un campione di football, Patrick uno scienziato in erba e il piccolo Judd la mascotte della squadra. Poi c’è lei, la dolce Marianne: studentessa modello, sempre attenta agli altri, si affaccia con un po’ di ingenuità ai suoi sedici anni.
Nel giorno di san Valentino, dopo il ballo della scuola, le accade qualcosa di terribile. Un «incidente» innominato e innominabile che devasta la serenità della casa. In un attimo la famiglia perfetta non esiste più: ciascuno combatte la propria lotta in nome della giustizia, della vendetta o del perdono, tutti si trasformano e allontanano. Per ritrovarsi, i Mulvaney hanno di fronte una lunga strada, un cammino in cui ognuno, liberato dall’obbligo di incarnare la perfezione, dovrà diventare semplicemente se stesso.

L’INCIPIT

Eravamo i Mulvaney, vi ricordate di noi?

Forse pensavate che la nostra famiglia fosse più grande. Ho incontrato spesso persone convinte che noi Mulvaney fossimo virtualmente un clan, ma in realtà eravamo solo sei: mio padre, che era Michael John Mulvaney Sr., mia madre Corinne, i miei fratelli Mike Jr. e Patrick e mia sorella Marianne, e io, Judd.
Dall’estate del 1955 alla primavera del 1980, quando mio padre e mia madre furono costretti a vendere la proprietà, i Mulvaney sono stati alla High Point Farm, sulla High Point Road, undici chilometri a nordest della cittadina di Mt. Ephraim nella parte settentrionale dello stato di New York, nella valle di Chautauqua, circa centodieci chilometri a sud del lago Ontario.  High Point Farm era una proprietà molto nota della valle, destinata con il tempo a essere definita un luogo di interesse storico, e “Mulvaney” era un cognome molto conosciuto.
Per parecchio tempo ci avete invidiato, poi ci avete compianto.
Per parecchio tempo ci avete ammirato, poi avete pensato Bene! È quello che si meritano.

SPUNTI CRITICI

“Oates compone una storia amara, il sogno americano che si infrange di fronte alle ipocrisie del perbenismo, le incomprensioni, i sospetti e i pettegolezzi. E le fragilità di ognuno di questi individui di fronte al male. La violenza, tema ricorrente nell’opera della prolifica scrittrice statunitense, è il cuore nero di questo romanzo, la deflagrazione che stravolge ogni cosa per sempre. E che rivela tutte le inadeguatezze di una famiglia che solo in apparenza era perfetta ma che invece non riesce a reagire adeguatamente a quanto accaduto.

“Noi Mulvaney saremmo morti l’uno per l’altro, però avevamo segreti l’uno per l’altro. Li abbiamo ancora.”

I segreti che ognuno di loro custodisce, la violenza delle scelte, i silenzi e le distanze, sono l’anima nera di un romanzo amaro, strabordante di digressioni, fatti minuscoli, storie e microstorie che si intrecciano una all’altra, scatole cinesi da cui è facile venire sopraffatti. Questa minuzia talvolta eccessiva di dettagli è lo sguardo di Judd, che colleziona ogni pezzo della sua famiglia, anche il più piccolo e insignificante ricordo, di cui ha diretta memoria o meno, come unica arma per combattere la perdita, il disgregarsi di tutti loro.

“Che cos’è una famiglia, dopotutto, se non ricordi? Casuali e preziosi come il contenuto del cassetto che in cucina serve da ripostiglio generico”

Si viene sopraffatti dalla narrazione, ma Oates invece non perde mai il filo della storia non importa quante digressioni segua, ha ben salde le redini del racconto. È sicuramente un romanzo ricco, poco adatto a chi come la sottoscritta è più affascinata dalla forma breve con la sua storia sommersa e l’economia di parole, ma rappresenta un efficace contraltare delle molteplici possibilità della narrazione nelle mani di un’esperta cantastorie. E, ancora, ben rappresenta anche quello stretto e indispensabile legame tra storia e modo di narrarla che sempre dovrebbero intrecciarsi l’una con l’altro.
I temi intorno a cui ruota Una famiglia americana si fondono con innumerevoli altri spunti, rimandi meta testuali, letture ed esperienze, facendone un romanzo che supera i confini temporali per rinnovarsi continuamente a poco meno di trent’anni dalla sua prima pubblicazione. L’arco narrativo copre un periodo che va dal 1976 al 1993, ma tolti alcuni riferimenti storico temporali non resta impigliato nelle maglie del tempo. Dei numerosi spunti e temi che lo attraversano ogni lettore troverà quindi la propria chiave di lettura: tra gli altri il discorso sul crollo del mito borghese, la condanna sociale che investe questa famiglia, la distanza tra genitori e figli e il senso di sostanziale solitudine di ognuno di loro. Poco importa se alla fine troveremo un consolante happy ending o meno: l’America ha rivelato il suo cuore nero, non tutto potrà essere perdonato.”

da un’articolo di Debora Lambruschini in Criticaletteraria.org

“La letteratura americana contemporanea ha dissacrato a più riprese il mito della famiglia nucleare, ne ha denunciate le ipocrisie borghesi e senza futuro, il falso perbenismo che serpeggia nei vicinati, le morbosità dei genitori passate di generazione in generazione come un virus. In questo quadro socio-letterario, i principali esponenti di tale operazione di de-santificazione sono stati soprattutto autori maschili: tra i più annoverati ci sono Philip Roth in Pastorale Americana, Jonathan Franzen ne Le Correzioni, Richard Yates in Revolutionary Road e Jeffrey Eugenides in Le Vergini Suicide. Se in questi romanzi a innescare la disfatta familiare erano la privazione di libertà, l’irriducibile banalità borghese che vanifica qualsiasi lotta idealistica, l’insofferenza calcificata tra padri e figli, laddove i figli decidono di imboccare strade che i genitori non possono comprendere, la Oates mette in atto un’operazione differente. Nelle sue opere, infatti, il crollo dei legami familiari è spesso innescato da un atto di violenza, la cui fonte è frequentemente esterna ma che dissesta il nucleo familiare.
Ci sono due romanzi dove l’autrice racconta il declino di una famiglia in seguito a un feroce atto di violenza. Il primo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1979, è Stupro: Una storia d’amore (per Bompiani con la traduzione di R. Serù, 2004), e il secondo – e uno dei suoi romanzi più celebri in Italia – è Una famiglia Americana (titolo originale We were the Mulvaneys), pubblicato originariamente nel 1996, e uscito in Italia nel 2014 grazie al Saggiatore nella traduzione di V. Curtoni. I due romanzi sono accomunati sia dalla tematica familiare, sia dall’evento che scatenerà il disfacimento del nucleo: lo stupro. Nonostante il tema comune, l’autrice tratta la tematica della violenza sessuale con un approccio differente nei due romanzi.
In Stupro: una storia d’amore, dal titolo volutamente provocatorio (e altrettanto volutamente fuorviante), la Oates racconta un fatto di cronaca che ha luogo nei primi minuti dopo la mezzanotte del 5 luglio 1996, la notte successiva all’Indipendence Day: una delle ricorrenze più americane che ci siano. Teena Maguire, vedova appena trentacinquenne, sta attraversando il parco di Niagara Falls con la figlia dodicenne Beethie; è da poco scoccata la mezzanotte e le feste private si sono trasferite lungo le strade, c’è un clima allegro e altamente etilico. Mentre le due protagoniste stanno attraversando il parco, vengono approcciate da una banda di giovani che si chiude loro intorno, non permettendo la fuga. Il branco le aggredisce violentemente, e la violenza culmina in uno stupro di gruppo che ha come vittima Teena, mentre sua figlia riesce a nascondersi, pur dovendo assistere alla violenza. Teena viene abbandonata in una pozza di sangue a morire, e viene mantenuta in vita per diversi giorni in coma farmacologico. Una volta svegliata, deve affrontare un doppio processo: il primo è quello che si svolge nell’aula del tribunale, dove dopo il riconoscimento facciale porta al banco degli imputati i ragazzi che l’hanno violentata, e il secondo è quello mediatico, quello del vicinato, quello dello stesso avvocato della difesa e del giudice, quello che si propaga tra le malelingue della giuria come un’epidemia: «Se l’era andata a cercare» (da cui prende il nome anche il primo capitolo del libro). Era in stato d’ebrezza, era rinomatamente una donna facile, erano rapporti consensuali e quella avida ha chiesto pure di essere pagata, è una madre vergognosa, è una puttana. Nel corso della narrazione, si fa sempre riferimento allo stupro con questa espressione, l’autrice non si fa remore sul fornire dettagli espliciti sulla violenza subita sia nel corpo che nella psiche di Teena, ma affronta anche le ripercussioni del crimine sulla figlia, sulla madre, sul suo compagno.
Il secondo, Una famiglia americana, è un romanzo più tradizionalmente familiare. L’autrice presenta i Mulvaney: un clan – come si autodefiniscono loro – composto da Michael Sr., Corinne, e i figli Michael Jr, Patrick, Marianne e Judd. A Mount Ephraim, piccola località a nord di New York, i Mulvaney sono ammirati da tutti come la famiglia modello, l’ideale da cartolina dell’American Family: vivono in una fattoria a tre piani, circondati da animali, in quello che sembra una sorta di Eden. Michael Mulvaney Sr. è la personificazione del sogno americano, grazie alla sua dedizione e al duro lavoro è passato dal non avere nulla all’essere a capo di un’attività di successo che si occupa di riparazione e costruzione tetti; la moglie, Corinne, è una giovane donna dallo sguardo vispo ed è bella, nonostante porti sempre stivali e salopette sporchi di fango e polvere per i lavori alla fattoria. C’è poi il primogenito (Michael Jr), ex stella della squadra di football del liceo, e Patrick, che viene nominato valedictorian per i suoi meriti accademici, Judd è invece il figlio più piccolo, soprannominato Ranger per il suo carattere avventuriero. Infine c’è Marianne, l’unica figlia, bellezza acqua e sapone e fervente devota cristiana, così gentile e altruista nei confronti degli altri da sembrare uscita da una parabola biblica. Come avviene in Stupro: una storia d’amore, sempre in una sera di festa – San Valentino, 1976 – avviene quella cosa, come la chiameranno spesso i membri maschili dei Mulvaney. Quella sera, infatti, Marianne viene violentata da un suo compagno di scuola, e la violenza esplode con una forza che, gradualmente, travolgerà l’intero assetto familiare.
Qui emerge la capacità dell’autrice di rivelare gli orrori dello stupro sotto una lente ampia, dalla sensibilità più universale: Una famiglia americana è postumo di quasi vent’anni rispetto a Stupro: una storia d’amore, eppure si ha quasi l’impressione che questi due romanzi siano in comunicazione fra loro. Se infatti Teena è una donna avvenente, che veste abiti succinti e a cui piace flirtare, Marianne è qui tratteggiata come una ragazzina pia, sempre sobria nei comportamenti, che preferisce parlare di Dio e della sua Fede. E il messaggio che lancia l’autrice è lo stesso: può capitare a chiunque. È capitato a Teena, è capitato a Marianne, e potrebbe capitare a chiunque altro; non ha nulla a che vedere con i loro comportamenti, o con le loro personalità.
Lo stile e il linguaggio delle due opere sono molto differenti. In quest’ultimo romanzo, l’impianto è molto vicino a quello di una fiaba moderna: c’è una situazione di equilibrio iniziale in una sorta di locus amoenus, ma poi accade un evento funesto al quale seguono le diverse peripezie che dovrà affrontare l’eroe (qui non è uno, ma l’intero clan dei Mulvaney). In Stupro: una storia d’amore la lingua dell’autrice è esplicita, diretta; in Una famiglia americana, la violenza sessuale è un trauma a cui non si può dare l’esatta nomenclatura, diventa allora abuso, violenza sessuale, quella cosa. Scrive la Oates: «Quali parole venivano pronunciate? Io ricordo abuso, violenza, approfittare di, fare del male. Parole che sentii, o captai di nascosto, per quanto nemmeno queste venissero pronunciate apertamente, come non si poteva parlare direttamente di cancro, di morte». Non c’è un processo in tribunale, tuttavia si ripropone anche qui, come nel romanzo”

da un articolo a cura di Sara Deon in lindipendente.it

 

L’AUTRICE

Joyce Carol Oates (Lockport, 16 giugno 1938) è una scrittrice, poetessa e drammaturga statunitense.

“Autrice e intellettuale americana poliedrica, tra le più prolifiche della letteratura americana, ha pubblicato il primo libro nel 1963. Da allora, ha frequentato ogni genere letterario in prosa e in versi: romanzi, racconti, narrativa per l’infanzia, poesie, drammaturgie, saggi. Oates ha pubblicato nell’arco di sessant’anni oltre cento libri: cinquantasette romanzi, quarantadue raccolte di racconti, una decina di drammi teatrali, sedici volumi di saggi, undici raccolte di poesie, nonché libri per bambini e alcune antologie di articoli apparsi su quotidiani e riviste nel corso degli anni. Alcuni dei suoi libri, per la maggior parte romanzi del mistero, sono pubblicati sotto lo pseudonimo di Rosamond Smith (otto volumi) e Lauren Kelly (tre volumi). Ha vinto numerosi premi letterari, incluso il National Book Award, due O. Henry Award, la National Humanities Medal e il Jerusalem Prize nel 2019; è stata inoltre finalista del Premio Pulitzer sia per i romanzi Acqua nera (1992), What I Lived For (1994) e Blonde (2000), che per le raccolte di racconti The Wheel of Love (1970) e Lovely, Dark, Deep: Stories (2014).
Oates ha insegnato alla Princeton University dal 1978 al 2014 ed è Roger S. Berlind ’52 Professor Emerita in the Humanities col corso di Scrittura Creativa. È professore alla University of California di Berkeley, dove insegna short fiction.

È cresciuta nella fattoria dei suoi genitori in una zona rurale dello stato di New York, a pochi chilometri dal lago Ontario. La famiglia le ha impartito un’educazione cattolica, voluta soprattutto dalla madre Carolina, di origini ungheresi. Quando Oates era ancora una bambina, viveva con loro la nonna materna Blanche Woodside, che fu per anni quasi una seconda madre per lei. Solo molto tempo dopo la morte della nonna, la futura scrittrice scoprì che il padre di Blanche si era suicidato sparandosi un colpo di fucile in bocca e apprese che questo suicidio aveva a che fare con il background ebraico dell’uomo. Questa scoperta è stata rielaborata molti anni dopo con grande efficacia artistica in La figlia dello straniero (The Gravedigger’s Daughter, 2007).
Ha frequentato la Syracuse University, dove si è laureata nel 1960, e la University of Wisconsin, dove ha conosciuto Raymond Smith, che poi ha sposato. Si è poi trasferita a Detroit (1962-1968) e quindi in Ontario, Canada. Nel 1978 si è stabilita a Princeton, New Jersey, dove tuttora risiede. Nel febbraio del 2008 è deceduto il marito, al rapporto con il quale ha dedicato A Widow’s Story: A Memoir (2011).”
Tratto da wikipedia

“Nei numerosi interventi critici e nei saggi, O. sviluppa, sperimentandola peraltro nelle opere creative, una sua concezione complessa dell’arte che, partendo da un’accentuazione «morale», riequilibra poi con l’affermazione di segno contrario dell’autonomia dell’arte. Argomento dei romanzi di O. − spesso inficiati da fragile struttura e da eccessivo accumulo di situazioni limite − è la presa di coscienza di sé da parte di adolescenti, giovani, persone mature, in un mondo in preda alla violenza più bieca e più impersonale. Per il romanzo Them (1969, trad. it., 1973) ha ottenuto il National Book Award for Fiction nel 1970, e altri riconoscimenti ha ricevuto per i suoi racconti e i suoi atti unici. Le sue opere sono tradotte in 20 lingue. Proviene da una famiglia operaia di origine inglese di tradizione cattolica. Docente di letteratura inglese nelle università di Detroit (1961-67), di Windsor, Ontario (1967-87) e di Princeton (dal 1987), nel 2006 ha vinto il Chicago Tribune Literary Prize”
Tratto da Treccani.it

LE OPERE DI OATES

Per cercare una lista esaustiva delle sue opere consigliamo di consultare l’apposita pagina americana di wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/Joyce_Carol_Oates_bibliography oppure quella italiana https://it.wikipedia.org/wiki/Joyce_Carol_Oates

Qui sotto potete trovare la bibliografia dei suoi libri presenti attualmente nel catalogo di Fondazione per Leggere (compaiono anche raccolte di raconti in cui è inserota insieme ad altr autori)

Scarica la Bibliografica dei libri della Oates presenti in Catalogo

FILM

Nel 2002 il romanzo “Una famiglia amercana”è stato trasposto in un film per la televisione statunitense che ha lo stesso titolo originale del romanzo “We Were the Mulvaneys”, diretto da Peter Werner e al quale l’autrice ha fornito la sceneggiatura. Interpreti: Beau Bridges (Michael Mulvaney senior), Blythe Danner (Corinne Mulvaney), Tammy Blanchard (Marianne Mulvaney), Tom Guiry (Judd Mulvaney, il narratore), Jacob Pitts (Patrick Mulvaney), Mark Famiglietti (Mike Mulvaney Jr.). Inedito in Italia

Altri film tratti da opere della Oates sono

LA PRIMA VOLTA (Smooth Talk) 1985, con Treat Williams e Laura Dern
tratto dal racconto Where Are You Going, Where Have You Been?

FOXFIRE (Foxfire: confessions of a Girl Gang) 1996 con Angelina Jolie
tratto dal racconto Ragazze Cattive (Foxfire: confessions of a Girl Gang)

FOXFIRE – RAGAZZE CATTIVE  (Foxfire, confessions d’un gang de filles) 2012 di Lauren Cantet
tratto dal racconto Ragazze Cattive (Foxfire: confessions of a Girl Gang)

VENDETTA – UNA STORIA D’AMORE (Vengeance: A Love Story) 2017 con Nicolas Cage
tratto dal romanzo Stupro. Una storia d’amore (Rape – A love story)

DOPPIO AMORE (L’amant double) 2017 regia di Francois Ozon
tratto dal romanzo breve Lives of the Twins

BLONDE (Blonde) di Andrew Dominic con Ana de Armas
Tratto dal romanzo omonimo

 

Nel 2021 è uscito un documentario sulla scrittrice. E’ attualmente in streaming su Amazon Prime Usa; non visibile in Italia

JOYCE CAROL OATES: A BODY IN THE SERVICE OF MIND

VIDEO INTERVISTE

Breve intervista in cui Oates parla dello scrivere

Una serata con Joyce Carol Oates

Una intervista in cui si ragiona sul tema del diavolo (in inglese ma si possono impostare i sottotitoli in italiano)

Un’intervista all’uscita del romanzo una famiglia american